Il
personaggio: Ingaggiato per assistere Cervone e far crescere Peruzzi Giuseppe
Zinetti si é ritrovato titolare
Ricomincio da tre
di Pino Cerboni
Bravo,
simpatico, modesto. Peppe Zinetti assomma tutti i requisiti migliori che un
uomo può avere. Senza dubbio un grande acquisto.
Un giocatore che contribuisce in maniera determinante alla stabilità
dello spogliatoio.
Arrivato a Roma, per fare il secondo e poi il terzo, quando Cervone sarà
pronto, si è ritrovato ad essere un protagonista. Se avesse considerato
il trasferimento alla corte di Bianchi solo un mezzo per intascare un bel
gruzzoletto di soldi a fine carriera, probabilmente avrebbe fallito quando
è stato chiamato a difendere la porta giallorossa. Invece ha risposto
bene, dimostrando che è un serio professionista e che l'avventura romana
l'ha affrontata realmente nel migliore dei modi.
«Un'esperienza nuova, che mi mancava -ha detto fin dal giorno della
presentazione della squadra-, so quale sarà il mio ruolo, ma state
tranquilli che mi alIenerò con l'entusiasmo di un ragazzino. M'impegnerò
come se la domenica dovessi scendere in campo».
E' stato di parola, ma nessuno l'ha mai dubitato. Basta conoscerlo bene, infatti,
per capire che è un personaggio straordinario pur nella sua semplicità.
Il sorriso perennemente stampato sulle labbra, la filosofia di vita acquisita
nei tanti anni vissuti a Bologna, città che fa dell'ironia la sua virtù
principale.
Proprio la scelta di rimanere in rossoblù per tanti anni dimostra che
esiste gente che nel calcio non pensa solo ai soldi, ma anche e soprattutto
alla qualità della vita.
Il Bologna da molto tempo non appar tiene più all' élite del
calcio italiano e per un portiere promettente, come era appunto a quei tempi
Zinetti, (fu convocato in Nazionale per il Mundialito in Uruguay), poteva
significare limitarsi la carriera, troncare sul nascere qualsiasi tipo di
speranza. Non ci ha pensato nemmeno un'attimo dopo aver messo sulla bilancia
pro e contro.
È rimasto all'ombra delle due Torri, preferendo non entrare nel vortice
di un sistema che oltre a regalarti fama e soldi, può anche stritolarti
con i suoi micidiali meccanismi.
«Sinceramente non rimpiango quella scelta - dice Peppe -. Sapevo che
avrei rinunciato ad una carriera che avrebbe potuto essere brillante, ma la
vita è ancora più importante e a volte certe rinuncie si trasformano
in vantaggi. Solo adesso, a 32 anni, quando mi è stata offerta la possibilità
di far parte di una società ambiziosa, non ho detto di no. Ora si poteva
fare».
Come detto, da «panchinaro» si è ritrovato catapultato
in campo. Prima un'infortunio, poi la vicenda doping hanno tolto dalla scena
Angelo Peruzzi. E Peppe, forte della sua tranquillità caratteriale,
lo ha sostituito degnamente mettendo al servizio della Roma la sua esperienza.
Gli è capitato, addirittura, di esordire in campo internazionale quando
forse non ci sperava nemmeno più.
Una bottiglia di champagne offerta ai compagni subito dopo il pareggio di
Valencia è stata la sua unica concessione alla gioia del debutto.
«Mi sono tolto una soddisfazione niente male, anche se non può
esserci orgoglio visto che ho giocato solo perchéhanno squalificato
Angelo. Ma da parte mia ho messo la professionalità. Mi sono fatto
trovare pronto, cioè, quando Bianchi ha avuto bisogno di me».
Con
Angelo Peruzzi ha legato subito, dal primo giorno. Non sono mai stati due
avversari, bensì due fratelli. E li netti, fratello ovviamente maggiore,
ha sempre riempito di consigli il minore. Anche in questi momenti così
delicati Peppe non ha mai fatto mancare una parola di con. forto ad Angelo.
Lo ha invitato a non mollare, a reagire con impegno maggiore, gli ha fatto
presente che l'età è un'ottima alleata per questo tipo di situazioni.
Non è facile, sinceramente, in un mondo dove spesso vige la regola
del «mors tua, vita mea» , individuare un'amicizia così
profonda.
Che fosse un personaggio particolare, tuttavia, lo si è capito fin
dal ritiro. Si è allenato, ha sudato, ha seguito i consigli di Negrisolo,
il preparatore dei portieri, come se fosse un giovane alla sua prima convocazione
con la prima squadra e non un portiere con anni e anni di esperienza sulle
spalle. E questo suo modo di fare, dentro e fuori del campo, ha conquistato
immediatamente tutto il clan giallorosso. A cominciare dal presidente Viola,
che non perde occasioni per magnificare l'accattivante sorriso che Zinetti
offre ai suoi interlocutori.
Anche negli interessi extracalcistici è facile riconoscere il Zinetti
fin qui descritto. Legge di tutto, quotidiani, riviste e libri; ama la buona
musica (senza preferenze particolari, basta che sia buona); adora andare al
cinema, specialmente se il film è con Lea Massari, di cui è
«perdutamen. te» e non tanto segretamente, visto che lo ripete
ogni volta, innamorato. Per non parlare del rimpianto più grosso che
ha nella vita: quello cioè di non aver potuto partecipare alle assemblee
degli studenti, quando il mondo studentesco appunto, poco dopo la metà
degli anni '70, ha espresso il suo fermento. Era un giocatore, aveva responsabilità
verso il Bologna, non se l'è sentita giustamente di. creare eventuali
problemi alla società. E stato già tanto però che il
suo orizzonte abbia abbracciato qualcosa che non era strettamente legato al
calcio.
Cervone è in agguato e quanto prima lo costringerà a tornare
in panchina. Ha già detto, Zinetti, che non ci saranno problemi.
L'aver dimostrato che non è venuto a Roma per incrementare il conto
in banca, come qualche maligno magari credeva, è stato importante.
E lo ha reso felice, che poi è quello che più conta nella vita.
Almeno la sua.
Tratto da La Roma novembre 1990
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